Torno sulla base del
pianeta Royale.
Sfoglio il libro di
musica. Pagine che frusciano.
Cerco un brano che abbia
a che fare con la seconda guerra mondiale. Ho l'esame di terza media
tra una settimana, e devo completare il percorso interdisciplinare (è
il 1995, ancora non la chiamiamo “tesina”). Ho scelto quel
momento storico perché nella mia puberale ingenuità è come un film
drammatico, di quelli con il lieto fine. Una storia piena di
prepotenti e di eroi che alla fine li prendono a calci nel culo. Ci
ho messo la geografia, la storia, le scienze, è stato facile.
Troppo facile.
Non lo so ancora, che non
c'è NULLA di veramente facile.
“Mamma”.
“Dimmi”.
“La conosci questa
canzone... 'Auschwitz'?”
“Certo. Ad Auschwitz
c'era la neve... perché me lo chiedi?”
“Perché sul libro c'è
la partitura, e il testo. All'esame porto questa!”
“È una bella canzone”.
Sincronizzo tutto
sopra il ritmo in levare.
Imparo il testo a
memoria.
All'esame dovrò
recitare la canzone come una poesia. Come alle elementari, come
OhValentinovestitodinuovo o
eifusiccomeimmobile. Ma questa è una canzone moderna, parla di
una storia recente, che racconta anche nonno. Mica come il 5 maggio.
Teen-teenager,
rock-rockstar
L'esame di terza media
non ci spaventa, noi fessi. Siamo invincibili, noi fessi. Che cavolo,
in questi tre anni ho sempre ottenuto il massimo risultato con
nessuna fatica, i pomeriggi li ho passati a scarabocchiare fumetti su
vecchi quadernoni. I compiti li copiavo alla prima ora, da quelli più
bravi. Per le interrogazioni leggevo i capitoli due ore prima, e
andava sempre liscia.
“Se studi così, tra
due mesi non ti ricorderai più nulla”.
Saggezza di madre, quanto
aveva ragione.
Dal punto di vista
scolastico, comunque, sono stati tre anni semplici.
Non lo so ancora, che non
c'è NULLA di veramente facile.
Ma la scuola non ha dato
problemi, no. Quelli me li ha dati la timidezza. La difficoltà
tremenda a spiccicare parola con quelli che non conosco.
I problemi me li hanno
dati gli orari di coprifuoco, che mi costringevano a tornare a casa
sempre prima degli altri amici.
I veri problemi me li ha
dati l'inclinazione all'innamoramento facile, l'attrazione che
sceglieva a cazzo di cane due volte su tre, gli struggimenti, le
storie terminate, quelle mai iniziate.
Sì lo so, sono i
problemi più banali del mondo. Ma sono i problemi più gravi del
mondo, no?
E questa sfida non è
ancora finita
Il
giorno dell'esame qualcuno, tra gli amici, è teso. Qualcuno ha paura
di essere bullato,
bocciato, kaputt, estate in casa a schivare l'incazzo dei genitori.
Perché nel 1995 i genitori hanno ancora l'insana abitudine di
cercare le cause della bocciature nelle mancanze dei figli. Sono
pochi quelli che scaricano le responsabilità nei disegni criminali
dei professori, quei satanici intriganti.
“E
se mi bocciano?” mi chiedono.
“Ma
va', che non ti bocciano, stai tranquilla”, rispondo. Io faccio da
camomilla, tranquillizzo gli altri, gli do coraggio.
Io
non ho paura. Se non promuovono me dovranno bocciare mezza scuola,
dopotutto.
Ma
non ho calcolato tutte le variabili. Non so ancora che qualcosa può
andare male comunque.
Vai col refrain: non lo
so ancora, che non c'è NULLA di veramente facile.
Il
mio turno sarà a metà mattina: sono il companatico tra l'esame di
altri amici.
In un
quarto d'ora gli altri se la sbrigano. Tutto come nelle attese, al
massimo una domanda pertinente agli argomenti scelti, nessuna
sorpresa.
Ora
tocca a me.
All'esame
possono assistere solo due compagni di classe, che fungono da
testimoni. Io scelgo lui e lei. I miei migliori amici, quelli che
continuerò a sentire anche in seguito, quelli che avrei scelto come
fratelli o cugini, se si potessero scegliere i fratelli e i cugini.
Hanno
avuto anche una breve storia d'amore, due anni prima. Che roba
strana, a pensarci oggi, perversa quasi: i fratelli non dovrebbero
amoreggiare, la società umana non prevede l'incesto.
“Buona
fortuna”.
“Non
si dice buona fortuna, porta sfiga”.
“Vaffanculo,
che ti devo dire?”
“In
culo alla balena”.
“Uau...
in culo alla balena!”
Casino Royale missione
speciale, pronti a decollare.
Mi siedo davanti alla
commissione. Il ricordo mi difetta un po', ma sono sicuro che che la
professoressa d'italiano ha sorriso per darmi coraggio. Alle mie
spalle siedono lui e lei, tifano per me a voce bassa.
Comincio a parlare, ma.
Ma.
Ma sono timido, non ho
nessuna sicurezza nei miei mezzi, davanti agli sconosciuti mi blocco
mi trema la voce il fiato si spezza e il presidente di commissione è
uno sconosciuto, lo vedo ora per la prima volta, capelli bianchi,
avrà cinquanta, sessant'anni, boh, per un quattordicenne è
difficile datare gli adulti, senza carbonio14.
Parlo, parlo, parlo,
parlo. Parlo di Hitler, di Mussolini, della Resistenza, della
Liberazione.
Cito anche 'Auschwitz',
di questo Guccini di cui non ho mai sentito mezza canzone.
Capelli bianchi mi guarda
dritto negli occhi. Il presidente della commissione, proprio lui.
“Secondo te è stata
giusta la lotta degli italiani contro gli italiani per la Liberazione
dal Fascismo?”
Rispondo con la sicumera
di un professor Sartori coi brufoli. “Certo, se ha permesso di
deporre Mussolini”.
“Ah. Quindi per te è
giusto che il fratello arrivi a uccidere il fratello, la
giustificazione della violenza” dice, 'sto Torquemada da scuola
secondaria.
L'equipaggio è teso e
dico che ha ragione, prova tu a suonare in questa situazione.
Ma cazzo, penso.
Cazzocazzocazzo, che gli
dico? Io sono per la non violenza... Gandhi, do you know?
Sto ancora cercando le
parole per la risposta quando interviene la professoressa d'inglese.
Non ricordo le parole precise, ma dice qualcosa sulle violenze del
fascismo, su soprusi e purghe e autoritarismo. Sulla reazione alla
brutalità del potere.
Capelli bianchi emette
come un ringhio sommesso. Ribatte punto su punto, alza la voce. Il
clima si arroventa, gli altri professori assistono senza fiatare.
Ma cazzo, ripenso. Cosa
sta succedendo?
Non ho abbastanza
coscienza politica, sennò capirei subito di trovarmi in una specie
di disputa tra Galeazzo Ciano e Nilde Iotti.
Mi volto verso il
cantuccio dove lui e lei siedono affiancati ad assistere alla scena.
Leggo l'incredulità sui loro volti, il terrore che qualcosa del
genere capiti anche durante il loro esame, la solidarietà da
fratello e sorella che cercano di trasmettermi per via oculare.
Tutto può scoppiare
da un momento all'altro
I minuti passano, sono
dentro da mezz'ora e da almeno un quarto d'ora non parlo io. Nilde e
Galeazzo sono fuori dai gangheri. Una difende la democrazia
conquistata, l'altro sputa fiele sui libri di testo dalla parte dei
vincitori.
Lui parla degli omicidi
compiuti dai partigiani, forse di Claretta Petacci. Lei parla di olio di
ricino, di squadracce. Forse di Giacomo Matteotti. Lo scontro è aspro.
Io ormai non li ascolto
più, sono perso in una realtà alternativa. Non sta succedendo
niente, in questo momento, a me. Oggi in paese c'è festa, penso.
Dopo mi faccio una passeggiata, penso.
Penso anche a una canzone
che ho letto sulla 'Storia d'Italia a fumetti' di Enzo Biagi “Canto il delitto di quei galeotti/ che vollero trucidare il
deputato Giacomo Matteotti / erano tanti: Viola Rossi e Dumin/ e il capo
della banda, Benito Mussolin”.
Alzati che si sta alzando
la canzone popolare, penso.
Discutono ancora ad alta
voce, poi Capelli bianchi si volta verso di me.
“Chiediamo a lui, qual
è il suo parere in merito”.
May day may day ho
un'emergenza, Pardo, relax!
“Lui” sono io,
ennedierre. Non so nemmeno cosa mi abbiano chiesto, su quale
fondamentale principio etico debba dire la mia.
Non ci siamo capiti,
Capelli bianchi, io non sono uno da sangue freddo. Io sono uno di
quelli che piange, amigo. C'ho le lacrime in tasca, come si dice. È
una caratteristica che fa girare le palle a mio padre, che fa finta
di nulla ma è fatto così anche lui. Io ci convivo, devo avere
una sinapsi particolare che instrada le emozioni forti direttamente
nel canale lacrimale.
È già un miracolo che
abbia resistito fino a quel momento senza trasformarmi in fontanone,
caro il mio Galeazzo. Figurati se riesco a riflettere e darti una
risposta!
Resisto ancora, però. No
tears. Rispondo buttando lì due o tre parole, la voce incrinata è
una specchiera che va in mille pezzi.
Galeazzo e Nilde si
fermano. Mi guardano.
Mi vedono per la prima
volta nell'ultima mezzora.
Ehi, fermate 'Oggi in
Parlamento'... qua davanti c'è un ragazzino di quattordici anni. Non
c'è Pajetta non c'è Almirante. Non c'è Fidel Castro. Non c'è
Francisco Franco.
Solo un quattordicenne
con gli occhi in brodo e la voce segata dai singhiozzi trattenuti.
No suoni pirata
nell'impero, no... tutto torna fermo all'anno zero
Un professore tossisce,
un altro distoglie lo sguardo. Tutti assieme mi congedano. Dicono che
basta così.
Dicono che è andato
tutto bene.
Basta.
Così.
Tutto.
Bene.
Sississì.
Sono passati
quarantacinque minuti da quando sono entrato nell'aula. Esco e tutti
vogliono sapere cos'è successo, perché ci ho messo tanto, cosa
possono avermi chiesto e cosa cavolo han
Scappo. Vado in bagno.
Metto la testa sotto un rubinetto, esplodo lacrime come pallottole di
un mitra. Lei e lui mi seguono. Non sanno cosa dire. Mi abbracciano.
Un abbraccio da fratello,
un abbraccio da sorella.
Ora passo e chiudo e
ripiglio il volo. Sono il Pau, comandante solo
i diritti sulle immagini sono dei rispettivi autori
colonna sonora: ANNO ZERO - CASINO ROYALE (diritti dei CR)
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2 commenti:
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